Da L’Unione Sarda del 31 gennaio 2015
Roberto Esposito, Le persone e le cose, Torino: Einaudi 2014, pp. 115, €10
Che persone e cose siano radicalmente diverse è cosa scontata. Però, se ci ammaliamo, se ci trapiantiamo, se ci droghiamo e se guardiamo il nostro sangue raccolto in una sacca, e magari vogliamo venderlo, o donarlo, ci troviamo immersi nel tema di questo libro, cioè il fatto che il corpo, il nostro corpo, non sia classificabile né come cosa, né come persona. E che questa classificazione sia diventata inutile nel mondo delle biotecnologie, dei trapianti, e del cyborg. Nel nostro mondo. I corpi includono al loro interno elementi provenienti da altri corpi, o da materiali inorganici, sono manipolabili e essi stessi snodi di ogni rapporto con le cose, oltre che con le altre persone.
Roberto Esposito ci aiuta a orientarci in questo dibattito che interessa non solo gli studi sulla tecnoscienza, ma gran parte del dibattito pubblico nei Paesi più attenti. In Italia ha avuto un’eco molto più labile. Si inserisce con originalità nel dibattito sull’evoluzione delle forme politiche e della loro connessione col vivente, col bios, seguendo in questo Foucault.
Qui analizza proprio l’origine, i caratteri e le conseguenze della classificazione binaria persona/cosa. Si tratta di una classificazione con una storia ricostruibile, “occidentale”, e Esposito ci accompagna in un viaggio affascinante che passa dalla tradizione giuridica romana e da quella filosofica greca, attraversa il Cristianesimo sino ad arrivare a Cartesio, ai filosofi della modernità classica, e infine alle decostruzioni contemporanee. L’incapacità di collocare il corpo in uno dei due nuclei (persone e cose), peraltro disposti asimmetricamente, ha generato esclusione e rimozione. Rimosso il corpo, la sostanza pensante sovrasta la sostanza estesa, le cose, e dunque anche la tecnologia. L’esclusione del corpo è andata di pari passo con la possibilità di definire le persone in base al fatto di non essere cose, e ha reso possibile l’idea che alcune persone, gli schiavi, o le mogli, potessero essere apparentati alle cose, e usati. Il Cristianesimo ha poi riportato all’interno di ogni individuo la separazione e la subordinazione del corpo e delle cose allo spirito.
Le cose, a loro volta, sono state rese interpretabili solo attraverso il discorso, un’idea, o un substrato. In sé, sono prive di alcun senso, e ostili alla “natura umana”, costrutto sopraponibile al “dispositivo della persona”, fondato sulla rimozione della corporeità e della materialità. Ma il corpo è proprio ciò che lega ogni uomo alle cose, con l’uso delle mani, e con l’esperienza corporea delle cose. È la pietra dello scandalo di ogni razionalismo ingenuo.
Quindi la ragione costituisce la “persona”, e la persona domina la cosa, in sé ni-ente. Mettere al centro il corpo significa mettere al centro la materialità e l’esistenza concreta delle cose, e superare le logiche del dominio e dell’interesse personale in contrasto con il bene comune, implicite nei saperi disincarnati.
Il testo di Esposito ha il grande merito di introdurre in lingua italiana, in un testo agevole per una persona colta, il grande dibattito sulle frontiere dell’umano, in cui si cercano risposte alle trasformazioni che le biotecnologie, l’antropotecnica e altri mutamenti epocali provocano nella vita. Purtroppo, Esposito ignora il grande contributo al tema dei confini dell’umano del pensiero femminista (penso a Barad, a Donna Haraway, a Braidotti), oltre che molte ricerche antropologiche (Descola) e di ambito STS. Ma, considerata la marginalità del dibattito in lingua italiana, ci offre con questo testo un prezioso sussidio che sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire.